Riassunto del libro "Storia della letteratura spagnola". Vine fatto un breve excursus della vita e le opere dei protagonisti della poesia spagnola, dal '500 al '900.
Letteratura spagnola
di Gherardo Fabretti
Riassunto del libro "Storia della letteratura spagnola". Vine fatto un breve
excursus della vita e le opere dei protagonisti della poesia spagnola, dal '500 al
'900.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Letteratura spagnola
Docente: Prof. Candido Panebianco
Titolo del libro: Storia della letteratura spagnola
Autore del libro: Samona - Mancini - Guazzelli - Martinengo - Di
Pinto - Rossi
Editore: Bur
Anno pubblicazione: 19981. Miguel de Cervantes y Saavedra (1547 – 1616): biografia
Biografia
Nasce nel 1547 ad Alcalà de Henares. Scrittore proteiforme, che sperimenta tantissimi generi, evitando di
ripetersi, non tanto nei generi in questione, ma nell’affrontare le varie sfaccettature dei suddetti. Vita
movimentata quella di Cervantes, che già nel 1571 entra nella compagnia di Diego de Urbina per la guerra
contro i turchi e, nello stesso anno, partecipa alla famosa battaglia di Lepanto, dove lascerà in dono alla
patria una mano, fortunatamente la sinistra, che guarirà fortunosamente.
Dopo le cure ricevute all’ospedale di Messina, si imbarca col fratello Rodrigo a Napoli, partecipando, nel
1572, alla spedizione di Corfù e alla successiva battaglia di Tunisia.
Nel 1575 ritorna in Spagna con alcune lettere di presentazione che dovrebbero garantirgli il comando di una
compagnia; invece del comando in capo, Cervantes ottiene un abbordaggio e una violenta cattura: la galera
su cui viaggiava venne infatti abbordata dal rinnegato albanese Arnaute Mami, che costrinse lo scrittore a
cinque anni di prigionia ad Algeri, fino al 1580, quando, grazie agli sforzi congiunti dei familiari e del frate
trinitario Juan Gil, riottenne la libertà.
1584. Cervantes sposa Catalina de Salazar y Palacios, la cui cospicua dote non sarà tuttavia sufficiente a
risolvere i suoi problemi economici. Cervantes così trova lavoro come commissario di vettovagliamento per
l’Invincibile Armada, riscuotendo imposte ai quattro angoli dell’Andalusia.
1602. Il fallimento del banchiere a cui aveva consegnato le imposte, causa a Cervantes una seconda
incarcerazione per illeciti amministrativi, accusa dalla quale sarà emendato poco tempo dopo. 1605.
Cervantes subisce una terza incarcerazione, sospettato dell’omicidio del cavaliere Gaspar de Ezpeleta.
Anche in questo caso prosciolto poco tempo dopo.
1606. La corte reale si trasferisce da Valladolid a Madrid. Cervantes si trasferisce nella nuova capitale dove
rimarrà fino alla morte, avvenuta il 20 aprile del 1916. Che parte degli avventurosi eventi dello scrittore
siano confluiti come spunti narrativi nelle sue opere, è innegabile. Ma è bene non forzare troppo il discorso
in questo senso. È bene invece concentrarsi su un altro aspetto del personaggio. Cervantes non fu un
umanista, né in senso erudito, né in senso spiritualistico, né nel senso del letterato di successo. Egli, anzi,
ritagliava con difficoltà il tempo per i suoi studi, a cui si abbandonava con piacere e dai quali, a torto, si
augurava di ricevere un degno sostentamento economico. L’attenzione al discorso munerativo può essere la
chiave utile a comprendere la preferenza dello spagnolo per generi economicamente convenienti, come la
novellistica.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 2. La Galatea di Cervantes (1852)
Romanzo pastorale scritto in gran parte nel 1582, e pubblicato nel 1585, La Galatea è l’opera giovanile più
impegnata di Cervantes. Un impegno sentito dallo stesso autore che considerava lo scrivere egloghe
un’audacia inconsueta in una realtà culturale in cui gli impellenti problemi di vita pratica avevano sotterrato,
sotto strati di polvere, il genere in questione.
In lui è però così forte la passione per la letteratura da non preoccuparlo più di tanto: è convinto che una
precisa ricerca espressiva possa migliorare poetiche e orientamenti ormai in disuso, come appunto l’egloga,
e per questo è fiducioso.
Alle preoccupazioni formali, si affiancano poi quelle retoriche e contenutistiche, ad esempio il problema
della verosimiglianza, e quelle relative all’organizzazione strutturale del testo.
La Galatea, forte del ricordo del fascino della letteratura rinascimentale italiana, e delle opere pastorali di
maggior successo, La Diana di Montemayor e la Diana enamorada di Gil Polo, si profila come un
divertissement letterario. Anche se lo scarso successo di pubblico che riscosse fa pensare in questa
direzione, se non ci fosse il tenace attaccamento di Cervantes a smentire questa ipotesi, suggerendo un’altra
chiave di lettura. L’opera appare contraddistinta da un netto platonismo ispirato a Leone Ebreo e risolve in
chiave rinascimentale i problemi connessi all’intreccio, decisamente dispersivo come accade il più delle
volte nei romanzi pastorali.
I racconti dei vari personaggi non costituiscono una serie di singole novelle unificate da una cornice; l’opera
è un monoblocco armonico in cui le figure si dispongono tramite precise linee funzionali che determinano
l’armonia del macrotesto. Ogni episodio, ad esempio, si conclude risolvendosi tramite la medesima legge
superiore che tutto giustifica.
È l’amore la direttrice principale dell’opera: con la sua capricciosità e la sua serenità è il fulcro della vita e
del mondo. Le scene e gli ambienti mitologici, non hanno solo funzione decorativa ma sono funzionali al
messaggio: il contatto con la natura è la più alta espressione della forza vitale dell’amore, così come i
giovani personaggi. Cervantes manifesta in quest’opera una visione così luminosa dell’amore da sconfinare
nel campo della mistica, quasi come se la posizione di Cervantes sull’amore qui non sia semplicemente
intellettuale ma anche spirituale; il felice equilibrio formale poi è il suo più valido sostegno. Un misticismo
che cozza con la tradizionale visione che la critica ha della religiosità cervantina: non controriformista e a
tratti profondamente reazionaria, ma aperta, essenziale e viva. Una religiosità che non guarda al freddo
dogma ma alla capacità affettiva che esso sa trasmettere. Se più in là Cervantes manifesterà la sua
tradizionale visione tridentina, tuttavia non abbandonerà mai completamente le suggestioni per la aerea
donna platonica, sia essa Preciosa, Sigismunda o la più famosa Dulcinea, mostrando un amore dettato più
dalla riflessione personale che dal dogmatismo moralistico oggettivante del Concilio di Trento.
Altro discorso che l’opera apre è quella del rapporto di Cervantes con la letteratura e la vita. Se da una parte,
osservando progressivamente la produzione cervantina, si assiste ad una netta preponderanza del concreto
rispetto al letterario, è tuttavia innegabile che in quest’opera molto più forte è l’influenza della suggestione
letteraria. Basti pensare ai personaggi, che con il loro soggettivismo non turbano il delicato, sereno e
fantastico mondo pastorale che li accoglie.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 3. Le commedie e gli entremeses di Cervantes (1615)
Raccolta teatrale pubblicata nel 1615 col nome di Ocho comedias y ocho entremeses. Non riscossero molto
successo, accusate a livello formale di versificazione maldestra e di alcune mancanze strutturali. Il teatro
cervantino, in effetti, vuole essenzialmente mostrare articolatamente varie situazioni culturali ed esistenziali
che ruotano attorno a principi di scontata validità. Non è un male rappresentare nell’opera teatrale un quadro
della società contemporanea, con le conquiste spirituali dell’uomo, col suo patriottismo, col suo amore e la
sua santità, ma lo diventa quando si pretende di tratteggiare questi caratteri con fredde posizioni
didascaliche, raffreddando la letterarietà dell’opera. Fortunatamente le suggestioni controriformistiche non
riescono sempre a intaccare la verve letteraria di Cervantes, che, così profondamente stuzzicata
dall’eclettismo dello scrittore (forse alla ricerca di un messaggio artistico particolare), tocca, con la sua
opera, tutte le tematiche della commedia, da quella a sfondo agiografico a quella a sfondo picaresco.
Abbiamo così El rufiàn dichoso, dove la catarsi del protagonista, che sa molto di suggestioni tridentine, non
intacca fortunatamente le bellissime descrizioni del colorato mondo picaresco sivigliano, o La Entretenida,
che fa il verso allo stesso genere della commedia, presentando polemicamente un finale con la generale
delusione di tutti gli innamorati, e non la consueta serie di matrimoni.
Gli entremeses (=intermezzi) cervantini sono i migliori nel loro genere, per la loro capacità di fissare
efficacemente e rapidamente i tipi umani descritti. Cervantes rappresenta quadretti di vita vissuta che un
efficace linguaggio teatrale corporizza fin nei minimi dettagli. I finali, di solito a ballo o con l’intervento di
un deus ex machina, servivano a rompere la fissità dello schema dell’intreccio introducendo la “vita” vera.
Più forte, com’era classico in epoca barocca, la dimensione onirica più che quella reale: la prima è la
dimensione per rifugiarsi dalla seconda, di solito sguaiata e abnorme. Nella raccolta uno studioso, Balbìn, ha
trovato una scelta organizzativa dei moduli molto precisa: i primi due entremeses hanno come tema il
matrimonio, poi vengono presentati motivi del mondo sociale e cittadino, poi viene ripreso il tema
matrimoniale ma nella variante dell’infedeltà.
La comicità degli entremeses non sta tanto nelle beffe, quanto nelle reazioni ipocrite, malevole e
presuntuose delle vittime, che fanno una cosa pur rivelandone implicitamente un’altra, che è tutto il suo
contrario. Poco farraginoso psicologismo, e una impostazione morale diluita: gli entremeses sono dei
fulminei flash di comicità fotografica. Ricordiamo il Retablo de las maravillas e Il viejo celoso.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 4. Le novelas ejemplares di Cervantes (1613)
Raccolta di undici novelle, ma in realtà dodici poiché le due parti in cui è divisa l’ultima sono considerate a
se stanti.
La critica ha spesso diviso le novelle, e lo ha fatto nei modi più svariati.
Ortega y Gasset le ha divise in due grandi gruppi: quelle in cui il fantastico domina e quelle in cui domina il
realistico.
Valbuena Prat le ha divise in tre sulla base delle forme narrative care a Cervantes: quelle a tendenza
italianizzante e idealista, quelle a metà tra italianismo e realismo e quelle totalmente costumbriste e
umoristiche.
Casalduero classifica tre gruppi di quattro novelle: il primo gruppo riguarda il mondo ideale ed è in antitesi
con l’ultimo che è relativo al mondo sociale. Quello intermedio si articola a sua volta in due gruppi e allude
al peccato originale celebrando la virtù e la libertà.
La tesi di Casalduero, anche se un po’ viziata, alla luce delle varianti del testo, è la più attendibile.
Ma maggiore curiosità desta il titolo stesso dell’opera. Se la parola “novela” sottolinea l’eccezionale
curiosità degli avvenimenti narrati, “cuento” si riferisce e si limita ai modi con cui viene raccontato.
Cervantes non usa i due termini come se fossero sinonimi, mostrando di non voler sacrificare né gli spunti
offertigli dal contenuto e dalla struttura, né quelli riguardanti i valori formali. La stessa esemplarità
declamata nel titolo, può voler sottolineare fatti prettamente contenutistici e morali o aspetti letterari, che
rendono le novelle archetipi di un nuovo orientamento letterario. Con le sue dodici novelle Cervantes ci
offre ore di divertimento, e lo fa con diversi espedienti.
In Rinconete y Cortadillo (Angolino e Tagliatello), El licenciado Vidriera (Il dottor Vetrata), El casamento
enganoso (Il matrimonio ingannevole) e in Colloquio de los perros (Il dialogo dei cani) il centro del racconto
è la parola ingegnosa e la furbizia.
In La gitanilla (La zingarella), La espanola inglesa (La spagnola inglese), La fuerza de la sangre (La voce
del sangue), La illustre fregona (La nobile sguattera) ci si basa sull’agnizione e il riconoscimento.
In El amante liberal (L’amante generoso) si accumulano peripezie che ricordano un po’ la novella bizantina,
mentre la narrazione della prigionia prende spunto direttamente dall’esperienza di Cervantes.
In Las dos doncellas (Le due donne) troviamo due donne travestite da uomo. La novella propone un caso
amoroso con due varianti incarnate dalle due protagoniste: Marco Antonio ha fatto due promesse di
matrimonio; in un caso si è limitato a metterla per iscritto, nell’altro lo ha consumato.
In El celoso extremeno (Il vecchio geloso) si prende in giro il vecchio geloso, giocando sull’ossessione
mentale del personaggio e narrando passo per passo la sua conquista. Leonora ammutolirà e sverrà, non
potendo dire al marito di non averlo tradito, solo perché il marito muoia convinto della sua condizione di
cornuto e lei salvi comunque l’onore.
Alcuni temi ricorrenti sono trattati in maniera originale. Il tema dell’hidalgo, ad esempio, che non viene
rappresentato nella sua classica solitudine alienante ma nel suo rapporto con la famiglia, e nella sua
possibilità di vita sociale, pur con tutte le conseguenze che essa comporta. Il tema stesso della vita sembra, a
volte, assurdo, ad esempio nel Licenziado Vidriera, che si ritiene di vetro e vaga solitario nella paura di una
società che potrebbe frantumarlo in qualunque momento.
Le novelas si caratterizzano anche per la grande attenzione riservata al particolare, che a volte fissa in alcuni
punti, apparentemente privi di interesse, le basi per lo sviluppo degli eventi successivi, e a volte colloca il
personaggio al suo ambiente ideale, saldandolo assieme allo scrittore e al lettore, in una compartecipazione
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola vitalistica e affettiva.
I suoi personaggi, infine, sono personaggi limitati: pur potendo liberamente fare le proprie scelte, non ultima
quella tra bene e male, essi rimangono vincolati da esigenze e modi di fare tipici della loro classe sociale,
che fissano il loro comportamento pratico nelle situazioni.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 5. Los Trabajos de Persiles y Sigismunda (1617) di Cervantes
Ultima opera di Cervantes, pubblicata postuma nel 1617. Una prima lettura ha portato alla più prevedibile
delle interpretazioni: Cervantes, pervaso più che mai dalle istanze controriformistiche, crea quest’opera
come riassunto delle sue direttive artistiche, ultimo stadio della sua mentalità, ormai proiettata verso l’idea
della vita come pellegrinaggio verso il porto rassicurante della fede. In effetti la trama non lascerebbe molto
spazio a interpretazioni diverse, eppure, saggi più recenti hanno tentato di rivedere questa lettura. Fermo
restando il chiaro motivo della scelta della forma del romanzo bizantino, poco sperimentato nei secoli e per
questo stuzzicante per gli interessi di Cervantes, resta da comprendere quali fossero i reali stimoli tematici
sentiti da quest’ultimo. Una soluzione moderata potrebbe essere quella di riconoscere, nella figura di
Antonio, sicuramente la suggestione moralistica ma anche il gusto della peripezia e dell’avventura.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 6. Il Don Quijote di Cervantes
Il romanzo di Cervantes fu pubblicato da Juan De La Cuesta in due parti, a Madrid: una prima parte nel
1605 e una seconda parte nel 1615. Nonostante la pausa intercorsa tra le due pubblicazioni, non sono state
avanzate serie teorie filologiche su una possibile interpolazione, anche perché è fuori dubbio che entrambe
le parti siano della stessa penna. Il Don Quijote nasce dalla critica al genere del romanzo cavalleresco, che
nel 1500 aveva spopolato. Occorreva naturalmente una giustificazione al comportamento del suo
personaggio, e la follia era la scusante più verosimile, come necessaria e consequenziale era la sua
investitura a cavaliere, che paradossalmente lo abilita alle sue follie. Oggi probabilmente il motivo della
follia sarebbe stato accennato qua e là tra le righe, ma per un uomo come Cervantes, nato a cavallo tra ‘500 e
‘600 la cosa era impensabile, tenuto tra l’altro conto del suo italianismo letterario che lo portava ad una
strenua difesa del criterio di verosimiglianza, difesa disseminata in tutto il libro. È quindi impensabile
leggere il romanzo considerando come base l’improvvisazione: il Don Quijote è invece un libro
calibratissimo nella composizione testuale. Spia di questo atteggiamento è la cerimonia di investitura di Don
Alonso: Alonso avrebbe potuto fare il cavaliere anche senza investitura, ma la coerenza di Cervantes è tale
da impedirgli un cavalierato a metà (in fondo anche la sua pazzia così sarebbe stata a metà); e sempre spia di
questa coerenza è che non si trova in situazioni cavalleresche prima dell’investitura: la precettistica letteraria
della cavalleria, infatti, non ammetteva avventura di cavalieri non investiti. Innegabile infine la precisa
struttura chiastica e parallela della prima parte, classica delle commedie barocche. Il termine centrale è la
locanda – castello, un deus ex machina condensatorio che fissa al centro le due acme della vicenda:
l’investitura e la consumazione dell’inganno. Nel dettaglio: la prima delle due parti saldate dalla locanda va
dall’azione centrifuga che proietta Don Quijote e Sancio lontani dal paese e da quella centripeta che porta il
curato e il barbiere alla ricerca del Cavaliere, fino all’incontro tra i due e Sancio alla locanda; la seconda
quando il curato e il barbiere e Sancio incontrano Dorotea sulla Sierra Morena e dopo aver convinto il
cavaliere ad una pericolosa missione per salvarla, finiscono nuovamente alla locanda. I personaggi di
Cervantes non hanno suscitato grande interesse nella loro soggettività se non con il Romanticismo, propenso
però a idealizzazioni sicuramente esaltanti ma spesso troppo generiche. Esempio ne è Miguel de Unamuno,
che nel suo Vida de Don Quijote y Sancho, livella e attenua gran parte delle sfumature dei due personaggi,
collocandoli in un allegorismo ieratico che li contrappone fin troppo emblematicamente (Don Quijote
sinonimo di idealismo, Sancho sinonimo di realtà e di pragmaticità). Sancho è una figura molto più
complessa di quanto non sia stata intesa: il suo seguire Don Alonso non nasce da una stupidità mentale, né
dalla seduzione di promesse inconsistenti, bensì da un’affinità elettiva profonda e da un bisogno di
elevazione sociale e di crescita morale che solo il viaggio con Don Quijote può assicurargli. Anche Don
Quijote non è un pazzo totale, e specialmente nella seconda parte, specialmente ma non unicamente, tradisce
molti barlumi di profonda lucidità, persino nel disquisire, paradossalmente, della stessa follia.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 7. Francisco de Quevedo y Villegas (1580 – 1645) : biografia
Il carattere
Ciò che colpisce subito di Francisco de Quevedo è la sua personalità di uomo e scrittore. Da una parte
conservatore e rigido fustigatore dei costumi, dall’altra figura inquieta e tormentata, animata continuamente
da una tensione esistenziale che lo porta a percorrere una strada tortuosa, contraddittoria e unica. Allievo
dei Gesuiti, studia poi all’università di Alcalà, in un ambiente rigido, di asciutto umanesimo di tono
senecano, dove compie approfonditi studi teologici e patristici, ottenendo infine gli ordini minori.
La religiosità.
Della religione Quevedo aveva un’idea rigida e autoritaria, austera ma gerarchica e limitata. Le esperienze
adolescenziali, che lo metteranno in contatto molto presto con l’ipocrita società “alta”, lo porteranno ad
assumere toni mitizzanti verso l’istituzione monarchica, vista come unico argine alla corruzione dilagante.
La sua formazione umanistica lo portava anche ad una mitizzazione del passato, di una ipotetica Spagna
medievale, esemplare per austerità civile e per virtù militari. Una idealizzazione partigiana e inesatta se si
pensa che nel medioevo la Spagna fu anzi una dei paesi dove meglio si portarono avanti i processi di fusione
culturale e razziale; Quevedo, infatti, con la sua idea monarchica era portato ad abbracciare anche idee
apertamente xenofobe e antigiudaiche, tutt’altro che deboli nella Spagna del 1600, facendosi paladino
dell’allontanamento delle minoranze etnico – religiose.
Lo stile.
Contrapporrà sempre il suo stile chiaro e facile, all’imperante gusto attuale del concettismo secentesco che
aveva il suo miglior rappresentante nell’odiato Gongora, che pur negli arzigogoli barocchi tradiva idee più
progressiste e votate al futuro. Ma è innegabile che la violenza del suo conservatorismo altro non è che
l’esplosione della sua incapacità di sottostare a morse e costrizioni.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 8. Le prime opere di Francisco de Quevedo y Villegas
Come la sua vita, anche la sua opera letteraria è densa di contraddizioni. Alterna canzoni ispirate
all’ambiente malavitoso e al mondo picaresco, a sonetti amorosi imbevuti di platonismo petrarchesco;
gallerie satiriche di difetti, colpe e tare varie a meditazioni ascetiche sulla condizione umana e sulla morte;
traduzioni del giocoso Marziale a traduzioni di severi filosofi; acri e violente censure letterarie e attacchi
personali, a poesie così elevate da essere chiamate metafisiche.
In via ipotetica possiamo dividere la produzione di Quevedo in due grandi gruppi: quella prima del 1612 –
1613, prevalentemente scherzosa, leggera e spensierata, a quella posteriore al 1613, prevalentemente
pensosa e grave.
Le prime poesie.
Il suo primo successo letterario è legato all’apparizione di alcune sue composizioni nell’antologia cortigiana
di Pedro Espinosa intitolata Flores de poetas ilustres, nel Contemporaneamente scrive il Buscòn e poco dopo
i primi Suenos, che però non saranno pubblicati prima del 1626 – 1627. Le poesie raccolte nei Flores sono di
vario argomento, ma prevalgono le satire; non mancano però poemetti mitologici, morali e politico – morali
e di elogio funebre. La satira è prevalentemente letteraria, e il bersaglio preferito è naturalmente Gongora.
Satira di argomento letterario, dicevamo, ma non basata su critiche letterarie: qui sembra che sia solo la
violenta antipatia personale di Quevedo a spingerlo, specialmente nelle velenose allusioni alla scarsa
“limpieza de sangre”, cioè alla possibile ascendenza giudaica di Gongora. Altri bersagli sono il nuovo
cristiano, il medico, l’avaro, il marito ingannato e soprattutto il mercante, l’artigiano e la donna. I primi due
vengono di solito bollati come rapaci e ingordi; la seconda viene dipinta nei suoi difetti fisici (magrezza,
vecchiaia) o morali (la venalità).
Il Buscòn.
In apparenza sembrerebbe un racconto incentrato sui canoni del romanzo picaresco, ma in realtà Quevedo li
scompone e li dissolve. Se già il romanzo picaresco nasce, strutturalmente, come una serie di successioni di
episodi poco coerenti, Quevedo accentua questa tendenza frantumando la narrazione in una serie di scene
autonome, sezionando i personaggi anatomicamente, riducendoli ad un coacervo di elementi apparentemente
sconnessi e privi di ogni calore umano. Non è sbagliato leggere in ciò una disposizione giocosa dello spirito,
il proposito irrealista e surrealista alimentato da una felice esaltazione demiurgica che porta lo scrittore a
voler pretendere di smontare l’intero universo, rimontandolo a proprio capriccio
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 9. I Suenos e il periodo Satirico di F. de Quevedo y Villegas
I Suenos.
Nei primi tre Suenos troviamo la stessa galleria di personaggi. Quevedo, usando un espediente noto già
all’antichità classica e al medioevo, finge di vagare in sogno nell’aldilà, dove viene edotto dei vizi e delle
colpe dei morti, trapassati e contemporanei. Il sogno è ovviamente tema importantissimo del barocco. Il
quarto Sueno, El mundo por de dentro, è il più filosofico. La funzione di rivelare verità amare è stavolta
affidata ad un vecchio allegorico Saggio, anziché a diavoli e dannati, che prende il nome di Disinganno,
incontrato dall’autore sempre nell’aldilà, popolato di vie e viuzze intitolate ai diversi vizi umani; la strada
principale, che incrocia tutte le altre, è quella dell’Ipocrisia, considerata da Quevedo il peggiore dei mali, la
radice di tutti gli altri. È significativo qui il parallelo tra ipocrisia del trucco femminile e ipocrisia degli
orpelli stilistici dei poeti d’amore culterani, che travisano le fattezze femminili delle donne oggetto del loro
cantare, sclerotizzandole in forme ridondanti e meccaniche. Il parallelismo ben esemplifica due delle
direttrici tematiche dell’opera di Quevedo: misoginia e polemica letteraria anticoncettistica. Il Sueno de la
muerte, l’ultimo della serie (1622) approfondisce la polemica letteraria in maniera diversa: qui Quevedo
passa in rassegna i luoghi comuni del linguaggio colloquiale, con le frasi fatte e i modi sentenziosi e
proverbiali; a questi ultimi il poeta dà una vita vera e propria, suggerendo l’uso della lingua popolare,
flessibile e sempre nuova, rispetto alle sclerotizzazioni ricercate dei poeti della nuova scuola.
Il periodo satirico.
Al decennio 1613 – 1623 appartengono i libri più specificamente letterario – satirici di Quevedo. In Aguja
de navegar cultos, componimento brevissimo, si scaglia, stavolta più letterariamente, contro la meccanicità
del linguaggio poetico culto, e sul carattere venale degli orpelli stilistici gongorini, di cui fornisce
polemicamente un elenco, fatto di latinismi e crudi neologismi, indirizzati a chiunque volesse intraprendere
la strada dell’odiato Gongora. Quevedo parla anche delle botteghe di poesia, forse influenzato dall’opera di
Traiano Boccalini, e ne elenca varie specie: la rigatteria dei soli, la bigiotteria dei cultos, gli spacci dei poeti
ortolani e i poeti frigorifero. Ne La culta latiniparla invece se la prende con l’oscurità linguistica delle dame
che si sono fatte influenzare dal cultismo dell’epoca.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 10. Il periodo riflessivo di F. Quevedo y Villegas
Dal 1631 la sua polemica anticultista si fa più pacata e basata maggiormente su una positiva politica
culturale che propone ai contemporanei l’abbandono del gusto imperante del cultismo, segnalando autori
(Fray Luis de Leon e Francisco de la Torre) non intaccati da quello che definisce cattivo gusto. La lirica non
satirica di Quevedo, posteriore soprattutto al 1613, viene divisa in poemas metafisicos, poemas morales e
poemas amorosos, oltre a sezioni minori. I primi sono dodici composizioni che esprimono gli stati d’animo
più personali e segreti del poeta, costruiti su una intuizione della vita che diventa morte stessa, piuttosto che
attesa di questa. I poemas religiosos trasferiscono il binomio morte – vita dall’ambito angustiato dei
metafisicos, alla meditazione dei momenti più drammatici della passione di Cristo. Molti dei poemas
morales, che invece sono ispirati a filosofi pagani, come Seneca ed Epitteto, passano invece alla tematica dei
trattati, sia ascetici sia etico politici. I poemas amorosos poggiano su una solida base concettista, e Quevedo
dà un timbro personale all’opera, suggellandola nel segno di una passione amorosa non duratura ma
bruciante.
Nei Poemas, soprattutto quelli morali e amorosi, Quevedo si ferma spesso su singoli oggetti, elevandoli a
simboli della sua meditazione; sono oggetti meccanici, come una meridiana o un orologio, o di uso
scientifico, come calamite e strumenti alchimistici vari che testimoniano l’eclettismo del personaggio, o
ancora bestiari medievali, o lapidari, che segnano il suo forte medievalismo, o figure mitologiche e parole
peregrine o erudite che testimoniano un conscio o meno gongorismo.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola 11. Luis de Argote y Gongora (1561 – 1627) : biografia
Il rapporto con Quevedo
La verve dissacratoria di Gongora e gli aneddoti sulla sua vita, potrebbero fare pensare ad una, almeno
iniziale, affinità con Francisco de Quevedo. Niente di più sbagliato. Una violenta avversione si frapporrà
sempre tra i due sin dagli anni di convivenza a Valladolid. Del resto la loro formazione personale e sociale è
diversa, come diversissime sono le loro inclinazioni, i loro gusti e i loro caratteri.
La vita
Gongora apparteneva ad una benestante famiglia cordovese che traeva dall’istituzione ecclesiastica, sotto
forma di prebende, tutto il necessario economico per vivere agiatamente; già si spiega qui la precoce
vocazione religiosa di Gongora, che nel 1575 iniziò la sua carriera ecclesiastica fino a prendere gli ordini
minori. Della natura utilitaristica della sua carica non fece mai mistero, come non fece mai mistero della
cospicua somma annuale che percepiva, ben 3000 ducati. Ma le cose non andarono lisce come previsto, e il
potere d’acquisto della moneta andò impoverendosi con gli anni, a causa di siccità, scarsi raccolti e
inflazione; Gongora si troverà spesso, quindi, in secche finanziarie che nel 1611 lo porteranno a Madrid,
come cappellano di corte, nella speranza, disattesa, di migliori guadagni. L’ultimo decennio della vita di
Gongora sarà spesso tormentato da una costante preoccupazione economica, come testimoniano molte sue
poesie e lettere. È ovvio, però, che il disagio che traspare da quelle lettere (molte peraltro di richieste
economiche per conto terzi e non personale, e questo rivela un aspetto inedito del poeta, che si rivela anche
uomo attento alle necessità del prossimo) non può essere attribuito esclusivamente ai dissesti monetari, ma
prevalentemente ad un più profondo disequilibrio esistenziale.L’atteggiamento tipico di Don Luis è quello
del provinciale ironico e distaccato che si trattiene nella metropoli giusto il tempo indispensabile per
sbrigare i suoi affari, dopo di che, disgustato dalle mene e dalla corruzione, divertito dalle piccolezze e
vanità del mondo della capitale, se ne torna alla libera vita della sua piccola città, dove amici fidati lo
attendono. Anche negli ultimi anni di vita, quando si stabilirà permanentemente a Madrid, vagheggerà la sua
Cordova con la speranza di chi vorrebbe farvi ritorno, consolandosi, col pensiero nostalgico, dei disinganni e
delle privazioni madrilene. Un atteggiamento che lascerà la sua impronta anche nella poesia, tutta giocata
implicitamente sull’opposizione tra il mondo esterno e la propria intimità, gelosamente affermata e difesa.
Vediamo come. Gongora, nel 1588, compie il suo primo viaggio a Madrid e nella Castiglia, in luoghi
assolutamente diversi dall’Andalusia per clima, paesaggio, temperamento e costume degli abitanti e sfoga lo
shock nostalgico per la sua terra con la satira. La prima fu per l’enorme ponte segoviano che Filippo II
aveva fatto costruire sul piccolo fiume Manzanarre, che già a marzo era afflitto dalle secche della calura. Un
esplicito messaggio sul contrasto tra apparenza e realtà, tra atteggiamenti arroganti e mancanza di sostanza,
che si ritroverà anche nella satira sui cortigiani, considerati mostri simili agli elefanti e ai rinoceronti che
Filippo II aveva ricevuto in regalo dall’Oriente. Nel 1603 va a Valladolid e l’impressione sarà ancora
peggiore: una improvvisata capitale, angusta e scomoda, che fa da sfondo alle piccinerie di burocrati (che lo
perquisiscono all’arrivo) e cortigiani simili alle etichette senza contenuto delle farmacie. Una città, dice
Gongora, sporca, gelida, e con un fiume, l’Esgueva, che è una vera fogna. Gli abitanti sono arroganti e
villani.
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Letteratura spagnola 12. Escuchadme un rato atentos di Gongora
La satira di Gongora si fa più approfondita in opere come il romance Escuchadme un rato atentos, dove
viene passata in rassegna la varia fauna e flora umana della capitale, popolata di abati camosci e mariti cervi,
ma soprattutto di moltissime specie femminili, dalle gazze che impazziscono per i gioielli alle cicogne che si
annidano nei monasteri, dalle cinciallegre che cianciano di stupidaggini alle tigri che azzannano borse, alle
viti che si avvinghiano a vecchi olmi pur di sostenere i loro tralci rigogliosi. Questa feroce critica potrebbe
ricordarci Quevedo, ma anche qui va fatta una smentita: Gongora mantiene, a differenza di Quevedo, un
atteggiamento di stima primordiale, di fascino profondo per il genere femminili. Manca poi in Gongora
l’animosità antigiudaica, mostrando totale indifferenza per le distinzioni su basi religiose, e manca anche il
disprezzo per le professioni manuali e redditizie, raramente battuto da Gongora. Gongora tocca invece
spesso il tema clericale, diversamente da Quevedo, sottolineando principalmente l’impudicizia, la mancanza
di freni e lo scandalo del curato, che a discapito del nome, ha finito per ammalarsi come gli altri.
3.4 Le differenze tra Quevedo e Gongora.
Il tono dei due poeti è diverso perché diversa è la loro situazione: Gongora, dal suo isolamento provinciale
(almeno fin quando durerà), può permettersi di non farsi invischiare e il suo atteggiamento, apparentemente
apolitico, è in realtà politicissimo, è un secco e deciso rifiuto. Quevedo invece è dolorosamente e
strettamente invischiato in quel mondo. Non mancano accenni di patriottismo un Gongora, ma spesso sono
dissacratori e smagati anziché convinti, come si vede, ad esempio, dall’ode En roscas de cristal serpente
breve, dedicata alla presa, molto poco eroica del forte di Larache, in Africa, in realtà spontaneamente ceduta
agli spagnoli. Abbiamo poi il Panegirico al Duque de Lerma, scritto forse nel 1617 come omaggio al
favorito di Filippo III. Poema che pur nell’impeccabile iridescenza formale, tradisce una grande freddezza.
Gongora non amerà mai la Babilonia di poteri che era Madrid e spererà sempre di tornarsene nella sua
Cordova: la tristezza per le speranze disattese ricordano un po’ i Poemas Metafisicos di Quevedo.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura spagnola